sabato 5 dicembre 2009

Berlusconi, la mafia e i media giudici

Ieri a Torino il pentito Spatuzza ha dichiarato che la mafia nel 92-93 aveva come punti di riferimento Silvio Berlusconi e Marcello Dell`Utri e che grazie a Forza Italia la mafia aveva il via libera nel paese.
E` evidente che queste dichiarazioni sono gravissime e possono cambiare completamente lo scenario politico di questo paese.Proprio per questo motivo e` obbligo dei magistrati verificare la veridicita` di queste affermazioni, ed eventualmente chiedere l`incriminazione di Berlusconi e Dell`Utri.
Detto questo, sono necessarie alcune osservazioni.
Innanzitutto, proprio per la gravita` e per le possibili conseguenze di tale testimoniana,stupisce che I magistrati abbiano permesso la diretta del processo.Personalmente ritengo che la professionalita` avrebbe imposto ai giudici di mantenere segrete tali dichiarazioni fino a quando non fossero stati trovati, almeno, minimi riscontri.
Secondariamente, stupisce la reazione della mafia. Quando inizio` la stagione dei collaboratori di giustizia,la mafia fece letteralmente guerra ai cosiddetti pentiti, vendicandosi sui loro famigliari.
Solo per ricordare il caso piu` ecclatante, si puo` citare Tommaso Buscetta a cui furono uccisi quarantaquattro parenti.D`altra parte un`associazione criminale che ammette il tradimento al suo interno e` destinata presto a scomparire.
Di conseguenza e` naturale chiedersi come mai la mafia non compie nessuna vendetta nei confronti di Spatuzza e di altri pentiti che al momento stanno collaborando.
Infine,non posso che esprimere una ferma ed indignata condanna per il circo mediatico che,in generale, si scatena intorno ad alcuni processi.
Non solo nel caso dei processi a Berlusconi, ma anche nei processi di Garlasco,di Perugia, perfino dopo un avviso di garanzia o alla fine delle indagini, la maggior parte della stampa italiana trasforma le parole dell`accusa in Verita’ e presenta gli indagati o gli imputati come colpevoli senza ombra di dubbio.
In questo paese,i processi si svolgono prima sui giornali e in tv,poi in tribunale ed e` evidente come ,durante un processo, venga creato dai media un clima per cui non solo non vale il principio per cui si e` colpevole solo senza ombra di dubbio ma, addirittura, vale il principio per cui il colpevole e` tale a meno che non provi il contrario.
Una concezione totalitaria,illiberale,molto diffusa, soprattutto tra i media di sinistra.
L`unico quotiano che indipendentemente dal soggetto oggetto di processo porta avanti il principio liberale dell`innocenza fino a prova contraria” e` Il Foglio, e questo isolamento e` un grave problema per l`etica e la civilta` di questo paese.

Alessandro Bertonelli

venerdì 4 dicembre 2009

Obama si piega all`interesse nazionale e invia i soldati

Il presidente Obama ha finalmente deciso,dopo circa tre mesi di tentennamenti, d`inviare 30.000 soldati in Afghanistan.Il presidente americano ha impiegato molto tempo prima di decidere perche` sottoposto a due forze opposte.
Da una parte la base liberal del suo partito che desidera un ritiro da tutti i teatri di guerra dall`altra conservatori democratici moderati e generali che per ragioni di sicurezza nazionale ritengono assolutamente prioritario rimanere in Afghanistan.
Obama,coerentemente alle sue dichiarazioni e allla linea politica tenuta negli anni scorsi da senatore, avrebbe dovuto procedure al ritiro delle truppe ma questo era un`opzione del tutto inapplicabile.Ha finito cosi` per annunciare l`invio dei soldati che sara` completato a 2010 inoltrato e allo stesso tempo il suo ritiro entro il 2011.
Questa decisione lo ha esposto ad attacchi sia da destra che da sinistra
L`ala radical pacifista del partito democratico che tanto peso ha avuto nell`elezione di Obama a presidente, soprattutto facendogli sconfiggere alle primarie la Clinton, ha infatti vissuto la scelta come un tradimento.
Il presidente che aveva promesso di porre fine alle guerre, di abbandonare lapolitica militarista imperialista di Bush junior, alla resa dei conti non solo non ha ritirato I soldati dall`Iraq ma ne aumenta il numero in Afghanistan.
Reazione molto simile si registra tra gli intellettuali e i divi di Hollywood da sempre incline al multiculturalismo al terzomondismo e al pacifismo a prescindere.Sarebbe divertente sapere anche il pensiero dei giurati che hanno attribuito ad Obama il premio nobel per la pace..sulla fiducia.
Infine ha deluso le aspettative dei generali che hanno aspettato tre mesi, durante i quali i soldati americani hanno subito le perdite piu` consistenti dal 2001, e alla fine hanno ottenuto diecimila soldati in meno rispetto al numero che chiedevano per poter attuare con efficacia il “surge”, sul modello iracheno.
John McCain ha parlato di “logica incoerenza” a proposito delle dichiarazioni di Barack Obama.
Inoltre ha insistito sul fatto che Obama come comandante in capo delle forze armate affermando di voler inviare le truppe e al contempo di voler ritirarle ha trasmesso un involontario incitamento ai talebani a tenere duro e contemporaneamente un pessimo messaggio sia alle sue truppe sia agli afghani che vogliono sostenere gli americani.
In effetti, questa dichiarazione,mina sul nascere le possibilita` di successo (gia` limitate, se si considera la storia afghana) del “surge”.Sara`ancora piu` difficile, infatti, per gli americani ottenere la collaborazione contro i talebani ed Al Queda, dal momento in cui gli afghani sanno che il presidente americano tra un anno ritirera` le sue truppe e i talebani ritornerrano a spadroneggiare.
Nel contempo se gli afghani non collaborano, i rischi per i soldati americani crescono esponenzialmente.
Tra i conservatori si sono registrati pero`anche commenti positivi.
Il Washington Post ha parlato chiaramente di un presidente che ha fatto sua la guerra afghana,mentre Norman Podhoretz ha riconosciuto al presidente la capacita` di andare contro la sua stessa ideologia per il bene del paese.
Personalmente ritengo,invece,piu` appropriata la posizione del Wall Street Journal che ha evidenziato come prima di sostenere che Obama abbia davvero cambiato idea sull`Afghanistan e senta sua questa guerra, e necessario cheegli anche dal punto di vista politico ponga il problema del terrorismo e della guerra in afghanistan al centro della suaagenda politica.
Finora, infatti, dopo aver vietato la definizione di guerra al terrorismo,ha sempre evitato di parlare di terroristi,preferendo la versione edulcorata di estremisti, e nei suoi discorsi parole come Afghanistan Iraq, terrorismo, islamismo sono tra le meno usate a simboleggiare una chiara scelta politica

lunedì 30 novembre 2009

E` giusto salvare Shalit Gilad a qualsiasi costo?

Il governo israeliano da alcuni mesi sta`trattando per il rilascio del giovane caporale Shalit Gilad,rapito nel giugno del 2006 da Hamas, ed in cambio sembra pronto a rilasciare circa 980 carcerati palestinesi tra i quali sono inclusi assassini e terroristi.
In realta`, la trattativa sembra ruotare tutta intorno a quattro persone (Ibrahim Hamad,Abdullah Barghouti, Abbas Asayeb e Ahmed Sa'adat) che Hamas vuole assolutamente e che Israele ha forti difficolta` a rilasciare.
I quattro sono alcuni tra i principali responsabili del bagno di sangue che avvenne in Israele tra il 200 e il 2003, in seguito a una lunga serie di attentati suicida.
Nello specifico, Hamad (leader dell`ala armata di Hamas a Ramallah) e` in carcere, perche` nel 2004 uccise una donna israeliana incinta di otto mesi e i suoi 4 figli di 11, 9, 7 e 2 anni.
Abdullah Barghouti, figlio di Marwan Barghouti, e` lo stratega che preparo` le cinture esplosive usate dai terroristi suicida per provocare almeno 4 stragi nei primi tre anni del nuovo millennio.
Abbas Asayeb organizzo` l`attentato suicida al Park Hotel di Netanya che costo` la vita a 29 persone.
Ahmed Sa'adat, l`unico non appartenente ad Hamas, e` il leader del fronte per la liberazione della Palestina, ed e` in carcere per aver assassinato nel 2001 Rehavam Ze'evi, ex ministro al turismo.
Inevitabilmente l`eventualita` di un loro rilascio preoccupa e divide l`opinione publica israeliana.
In particolare, due sono le obiezioni che vengono mosse al governo israeliano.
Una e`di natura “morale”, in quanto rilasciare questi terroristi significa infliggere una nuova ferita alle persone vittime degli attentati o che in essi hanno perso dei cari.
L`altra riguarda la sicurezza d`Israele.
Legittimamente, infatti, ci si chiede se rilasciare questi strateghi del terrore non comporti la possibilita` che scoppi una terza intifada,(secondo alcuni commentatori gia` pronta a verificarsi a causa della lotta di potere tra Hamas e Al Fatah) con una nuova raffica di attacchi terroristici in tutto Israele.
Inoltre l`accettazione dello scambio sara` presentata da Hamas come una vittoria,cosa questa che ne` favorira` l`espansione nella societa` palestinese.
Infine, l`accordo potrebbe spingere i terroristi a compiere ulteriori rapimenti di soldati e cittadini israeliani.
In una qualsiasi altra democrazia la questione molto probabilmente non si sarebbe nemmeno posta, perche` in una situazione normale nessun stato cederebbe ad un simile ricatto.Israele invece deve affrontare la questione perche`e` uno stato sempre minacciato di estinzione da parte dei vicini.
Uno stato, una societa` in tali condizioni, non puo` fare a meno della coesione del suo esercito e tantomeno puo`rischiare che si diffonda la convinzione che i soldati vivi o morti possano essere lasciati nelle mani del nemico.
Molto probabilmente, la diffusione di questa concezione, sarebbe l`inizio della fine per lo stato d`Israele.
A questo aspetto ne va poi aggiunto anche un`altro di natura "filosofico-ontologica".
La contrapposizione tra Israele e l`islamismo sia esso espresso attraverso gruppi terroristici (Hamas Hezbollah), stati (Iran) e/o reti transnazionali (Fratelli Musulmani) e` soprattutto una contrapposizione tra due concezioni dell`uomo,della vita del mondo. Da una parte il movimento islamista che fonda, o sogna di realizzare, societa` chiuse basate sul terrore e sull`odio, dove alle persone viene instillato un valore che va contro la natura dell`uomo qual`e` l`amore per la morte.
Dall`altra una societa` aperta basata sull`amore per la vita, la tutela dei deboli, l`impegno a dare un futuro ai propri figli.
Israele,proprio perche` e`ben consapevole di cio` non puo` lasciare che i propri figli siano abbandonati agli islamisti, nemmeno quando questo comporta sacrifici incredibili.
Non puo` farlo nemmeno se, come ricorda oggi Pierluigi Battista sul Corriere, cio` comporta rilasciare in quasi trent`anni 7000 detenuti arabi molti dei quali implicati in atti di terrorismo per riavere "solo" 14 soldati o i loro resti.

Alessandro Bertonelli

mercoledì 25 novembre 2009

Il Gerush del 1510: L`espulsione degli Ebrei dal Regno di Napoli


Nel 2010 ricorre il V Centenario dell’espulsione degli Ebrei e dei Marrani dall’Italia del Sud. La prammatica sanzione con la quale si ordinava agli ebrei e ai neofiti di lasciare il Regno di Napoli entro quattro mesi venne pubblicata il 23 novembre 1510. Il Re era Ferdinando il Cattolico, il Viceré Raimondo da Cardona. A duecento famiglie venne concesso di restare fino alla espulsione “definitiva” del 1541. Nel maggio 1515 una nuova prammatica ribadiva che anche i “nuovi cristiani” dovevano abbandonare il Regno.
Il Gherùsh dall’Italia del Sud è avvenuto dunque nel corso di cinquant’anni: ha inizio nel 1492-3 con l’espulsione dalla Sicilia e dalla Sardegna e termina nel 1541. In questo arco temporale riveste un’importanza decisiva l’anno 1510.
Che cosa ha significato la fine di 15 secoli di vita e cultura ebraica per il Meridione?
Che significato ha per le Chiese cristiane d’Italia?
Quale importanza riveste, nella memoria d’Israele?
Sono domande che, si spera, troveranno una risposta nei mesi a venire.

Marco Morselli

Qui di seguito vi riporto una prima opinione su quelle che furono le conseguenze della cacciata degli ebrei. Tratto dal sito del Comune di Ascoli

La perdita per Ascoli, per la Puglia e per l’intero Mezzogiorno dovette essere enorme, se Carlo V, a seguito di un’istanza delle popolazioni, che ritenevano necessaria la presenza degli Ebrei, in quanto facevano circolare ingenti somme di denaro incrementando i commerci, emano, il 23 novembre 1520, un editto, che li richiamava nel ducato alfine di arginare l’usura esercitata dai cristiani.
Purtroppo, la condizione degli Ebrei peggioro`definitivamente con l’arrivo del vicere don Pedro da Toledo, che, il 5 gennaio 1533, concesse loro sei mesi di tempo per uscire dal regno: chi non avesse ubbidito sarebbe diventato schiavo con la conseguente perdita di ogni suo avere; segui una proroga a tal e termine e, il 28 febbraio 1535, fu concluso un accordo tra il vicere e gli Ebrei, per cui si concedeva a questi ultimi di abitare nel regno per altri dieci anni. Il vicere emise, quindi, il 1° dicembre 1540, un nuovo provvedimento di espulsione con proroga di quattro mesi e, il 31 ottobre 1541, avvenne il loro definitivo allontanamento dalla Puglia e da tutto il regno di Napoli.
La capitolazione degli Ebrei era ormai totale: nel 1553, il papa Giulio III imponeva la distruzione del Talmud, vietandone lettura e possesso, e, il 14 luglio 1555, la Costituzione “Cum nimis absurdum”53 del papa Paolo IV istituiva il Ghetto a Roma.
Scomparivano cosi le comunita ebraiche pugliesi, come narra il maggior cronista ebreo del tempo, Josef Cohen: “E i figli d’Israele andarono dispersi qua e la come un gregge senza pastore: di loro, alcuni se ne andarono in Turchia, altri perirono in mare, altri ancora furono presi dai Ragusei e il comandante delle loro navi li porto a Marsiglia, dove venivano maltrattati; ma il re di Francia ebbe pieta di loro, li tolse dalla loro afflizione e li mando con sue navi in Oriente”
Dunque, il Mezzogiorno perse la borghesia imprenditoriale e finanziaria ebraica, che venne sostituita totalmente da quella dell’Italia centrosettentrionale.
Ma i capitali degli Ebrei ascolani, pugliesi, meridionali restavano in loco, mentre i capitali dei vari Acciaioli, Bardi, Peruzzi drenavano ricchezza dalle nostre zone e la trasferivano nell’Italia centro-settentrionale.
Cosi, quando, “l’Italia meridionale diventa il campo piu fecondo dell’investimento capitalistico veneziano, fiorentino, italiano, e proprio allora che il Sud diventa necessario ed indispensabile alla economia dei popoli piu colti della Penisola e della nazione tutta quanta” sicche Napoli, Bari, Brindisi e Taranto diventano “le piazze piu affollate del commercio monetario italiano, monopolizzato da grandi compagnie, fruttifero d’interessi lautissimi, saldamente garantito e
protetto” mentre “le societa dei Bardi e dei Peruzzi, degli Acciaioli e dei Tolomei, in concorrenza con societa venete e genovesi, intrecciano tante e cosi' robuste reti dalle Alpi allo Stretto, accettano tanti e cosi cospicui depositi dai piccoli proprietari liberi del Regno, ottengono tanti e cosi importanti privilegi di trasporto, d’incetta, di appalti, che il Regno di Napoli sembra
diventato la terra promessa di tutti gli speculatori”.
Dunque, nel passaggio dalla borghesia ebraica locale alla borghesia colonialistica, il Sud perdeva una possibilita di sviluppo capitalistico autonomo.
D’altronde, la Spagna con la cacciata degli Ebrei aveva gia regalato all’Olanda l’intraprendenza della borghesia ebraica. E fu cosi che il Seicento spagnolo e napoletano fu tanto distante dal Seicento olandese quanto il ricorso ad un protettore piu o meno santo era distante dalla frequentazione della Borsa di Amsterdam. I grandi mercanti genovesi e banchieri toscani, con cui il vicereame era indebitato fino al collo, investivano le loro enormi rendite nell’acquisizione e nell’acquisto di feudi nell’Italia meridionale, producendo, da una parte, la rifeudalizzazione e l’infeudamento del Sud e, dall’altra, lo sviluppo precapitalistico del Centro-Nord. E cosi in Toscana ebbero la civilta' del Rinascimento e il Palazzo degli Uffizi, e noi qui avemmo la civilta' della Mena delle pecore e Palazzo Dogana.

mercoledì 18 novembre 2009

La poverta` influenza la qualita` del terrorismo non la quantita`


Nel gennaio di quest`anno all`Univerista` di Harvard si e` svolto un convegno su uno dei temi piu` controversi degli ultimi 20 anni: la correlazione tra il terrorismo islamico e le condizioni di poverta`.
Molti giornalisti e intellettuali,soprattutto se liberals e/o di scuola marxista, tendono a presentare tale correlazione come l`unica plausibile, giusta spiegazione al fenomeno del terrorismo. I fatti dimostrano che sicuramente la poverta` l`alienazione il disagio sociale sono fattori da considerare nello spiegare l`influenza e la diffusion dell`islamismo, ma non sono le cause prime di quel fenomeno ne della sua manifestazione terroristica.
E` sufficente scorgere le biografie degli attentatori sucidi, per verificare come la stragrande maggioranza di essi appartengono alla media o all`alta borghesia e abbiano quantomeno il diploma superiore Ultimo caso quello di Mohamed Game.Game cerco` lo scorso ottobre di farsi esplodere dentro la caserma S.Barbara a Milano. Il giorno dopo,quasi tutti i giornali come se fosse un riflesso incondizionato hanno descritto l`attentato come l`atto di un estremista isolato, povero depresso.Nei giorni successivi e` risultato invece che l`attentatore era membro integrato della comunita` islamica milanese ed aveva una laurea in ingegneria.
Altri esperti sostengono che se la poverta` non e` determinante nelle azioni terroristiche di AlQueda, lo e` invece per quanto riguarda il terrorismo palestinese.
Da questo punto di vista tale convegno e` risultato molto interessante.Gli studiosi hanno analizzato i dati forniti dall` ISA, (l`Agenzia di Sicurezza Israeliana) a proposito dei palestinesi che dal 2000 al 2006 hanno compiuto attacchi(o hanno provato a farlo) in Israele, nella West Bank, nella Striscia di Gaza, e sono giunti alla conclusion che la poverta` influenza la qualita` non la quantita` degli attacchi suicida.
In altre parole le varie organizzazioni terroristiche palestinesi per compiere gli attentati piu` complessi,contro obbiettivi ritenuti piu` importanti e la cui riuscita comporta maggiori benefici(anche in termini mediatici) all`organizzazione, reclutano persone con una cultura e un reddito superiore alla media.
In particolare risulta che tra gli attentatori suicida la media di coloro che frequentano l`universita` o sono gia` laureati e` piu` alta dell`8% rispetto alla media generale.
Al contrario per compiere attentati considerate di minor rilevanza, o piu` facili vengono spesso impiegate persone con un livello culturali e un reddito uguale o inferiore alla media che dimostrano spesso anche una minor efficenza.
Risultano evidenti le analogie con il terrorismo islamista mondiale che per gli attentati nelle grandi citta` (New York,Bali, Istanbul, Rabat) ha utilizzato esperti laureate della media alta borghesia, mentre in Afghanistan o in Iraq utilizza anche analfabeti e poveri.
Vi sono inoltre altre interessanti notizie deducibili dale loro biografie.Infatti, la maggior parte di loro proveniva dalla West Bank, risultavano piu` efficaci se avevano un`adeguata istruzione, erano in larga parte maschi tra i 20 e i 30 anni
Nel contempo,pero`, dalle indagini risulta che un alto livello di disoccupazione amplia il “bacino d`utenza” delle organizzazioni terroristiche, soprattutto se queste, come fa Hamas, forniscono anche supporto sociale e culturali,mettendo a disposizione della popolazione asili,scuole e ospedali.
Questo non significa pero` che la soluzione sia quella preferita dall`Unione Europea e dale Nazioni Unite: i finanziamenti a pioggia.
Infatti i finanziamenti svincolati da qualsiasi progetto educativo e sociale aiutano esclusivamente le organizzazioni “socio-terroristiche” come Hamas ad ampliare il loro potere e la loro influenza sulla popolazione.
Mi sono limitato a fornire alcune riflessioni; per coloro che fossero intressati ad approfondire l`argomento possono trovare il resoconto del convegno:

"Economics conditions and the Quality of Suicide Terrorism" sul sito dell`Universita` di Harvard

Alessandro Bertonelli

mercoledì 11 novembre 2009

A Sderot il teatro sconfigge il terrore


Questo video e` la testimonianza di un`attivita` teatrale molto particolare. Questo corso teatrale, infatti, si svolge a Sderot, l`unica citta` di un paese democratico quotidianamente bombardata ed ha funzione terapeutica per i bambini e gli adolescenti.
Sui media italiani vi e` una periodica copertura di cio` che avviene a Gaza,mentre non vi e` quasi traccia di cio` che succede a Sderot che si trova a pochi chilometri dalla Striscia.
Sderot, per i nostri media, sembra una citta` fantasma, insignificante,mentre e` la dimostrazione che le persone normali,possono essere i primi portatori di speranza e i primi baluardi nella lotta contro il fanatismo nichilista islamista.
Sderot ha una popolazione di circa 24000 abitanti, con una percentuale di giovani molto alta: oltre il 35% della popolazione ha, infatti, meno di 19 anni.
Di questi quasi tutti(circa il 90% facendo una media tra vari studi sul tema) soffrono di disordini emotivi post traumatici, dovuti al continuo stato di guerra in cui si trovano.
I sisntomi piu` ricorrenti tra questi bambini che vivono in questa continua condizione di ansia sono: difficolta` a dormire, incubi, sviluppo di regressioni comportamentali come il voler dormire sempre con la mamma o il bagnare il letto,paura ad uscire di casa.D`altra parte e` impossibile non avere sintomi di stress, quando piu` volte al giorno si hanno solo quindici secondi per cercare di raggiungere il rifugio, dal momento in cui la sirena avvisa che un razzo sta`arrivando.
Inizialmente,per i bambini puo` essere perfino un gioco ma, quando in meno di quattro anni(nel 2005 Israele si ritiro` da Gaza) tale evento si verifica per oltre 7000 volte, proprio loro diventano la fascia piu` colpita da disturbi alla sfera emotiva.
Questo stress post traumatico continuo comporta inevitabilmente anche difficolta` relazionali, perdita di fiducia in se stessi, eccessiva timidezza.
Per questo la comunita` di Sderot ha sviluppato un programma teatrale sostenuto da esperti psicologi che permette ai bambini e agli adolescent di rappresentare in teatro le loro esperienze di vita e quelle dela comunita`.In questo modo riacquistano fiducia,cementano le relazioni personali,esorcizzano le paure quotidiane.
Sderot, e` veramente un “fenomeno” che andrebbe studiato, perche` e` la dimostrazione della forza insita nell` amore per la vita.Nonostante il bombardamento continuo, infatti, le persone non diminuiscono e la citta` ha oltre il 50% di popolazione sotto I 30 anni. Queste persone non perdono la speranza, non rinunciano a vivere la vita e non perdono l`umanita`.Infatti, non distruggono moralmente ed eticamente bambini istillandogli un`odio metafisico verso chi lancia i missili ma cercano di recuperarli, di fargli vivere una vita il piu` possible normale, facendogli superare i traumi con l`attivita` scolastica.
L`esistenza di Sderot e`ancora piu` straordinaria se si pensa che solo a un km di distanza c`e` la Striscia di Gaza.
A Gaza,sotto il potere di hamas ai bambini invece d`insegnare ad amare la vita a costruirsi un futuro s`insegna, tramite libri e cartoni animati, che e` glorioso e giusto farsi saltare in aria uccidendo il maggior numero possible di innocenti.
A scuola, dove si dovrebbero formare le persone, s`insegna che coloro che vivono a solo un km di distanza non hanno il diritto all`esistenza perche` sono malvagi nella loro essenza e pertanto possono solo essere uccisi.
Mentre a Sderot i cittadini vivono dignitosamente a Gaza regna la poverta` la corruzione, la mancanza di liberta`.
Il perche` di questa differenza tra le due citta` e` dal mio punto di vista una sola.
A Gaza c`e` una societa` chiusa basata sul terrore e sull`odio, dove alle persone viene instillato un valore che va contro la natura dell`uomo qual`e` l`amore per la morte.
A Sderot c`e` una societa` aperta basata sull`amore per la vita, la tutela dei deboli, l`impegno a dare un futuro ai propri figli.

Alessandro Bertonelli

martedì 10 novembre 2009

Il rischio di un nuovo terrorismo



E’ di ieri la notizia dell’arresto di altre quattro persone implicate nell’assalto di Casa Pound a Pistoia. Questo provocherà ulteriori tensioni nell’ambiente della sinistra extraparlamentare e dei Carc toscani.
Domenica sul Riformista, Giampaolo Pansa firmava l’editoriale Troppi fans per chi può sparare. Parlando del Nuovo “Comitato Anna Mantini del nuovo Partito comunista italiano”, costituitosi a Firenze, ricordava che il gruppo avrebbe agito nella clandestinità e che lo stesso aveva espresso solidarietà al leader toscano dei Carc (Comitato di appoggio alla resistenza per il comunismo), Alessandro Della Malva, arrestato a Pistoia per l’assalto al circolo Casa Pound, e ai giovani di Livorno, dott, Alessandro Orfano e Elisabetta Cipolla agli arresti domiciliari.
Commenta Pansa: “Non conosco il testo integrale inviato a Repubblica …Sono le solite accuse rivolte al governo Berlusconi di proteggere i fascisti. Con un ritratto allucinato della realtà italiana: “La borghesia imperialista non può permettere ai comunisti di discutere, di agire, di organizzarsi liberamente. Perciò il nuovo PCI ha deciso di operare nella clandestinità. Stiamo a fianco delle masse popolari che si stanno sollevando, che si organizzano, che costituiscono il nuovo potere”…Alcune settimane fa, m’era capitato di dire che sentivo puzza di anni Settanta, La mia era una sensazione istintiva, da vecchio cane da caccia che aveva visto nascere il terrorismo brigatista.”.
A Livorno purtroppo la sinistra extraparlamentare (vedi Rifondazione e il suo capo Trotta) si è subito lanciata nelle manifestazioni e nelle dichiarazioni a favore dei movimenti e di coloro che erano incappati nelle misure cautelari. Nonostante che Veltroni (ma chi è più ormai Veltroni?) abbia affermato . “C’è troppo odio, siamo a un passo dalla violenza”, anche la sinistra parlamentare, quella del PD tanto per intenderci ha firmato per la liberazione immediata dei tre fermati:
Susanna Camuso, segretaria nazionale della Cgil, parla di disagio sociale, più che di violenza politica. Sappiamo bene che la crisi economica può essere un incubatoio del nuovo terrorismo del XXI secolo; sarebbe quindi opportuna la massima prudenza ed evitare comunque di cavalcare la tigre.
A Rifondazione comunista viene chiesto un sostegno e una presa di posizione a livello nazionale, perché “E’ sempre più chiaro che l’arresto e le denunce a danno dei compagni sono avvenute per il loro ruolo politico in Toscana e per la determinazione con cui portano avanti le lotte in difesa della libertà di espressione, contro la riabilitazione del fascismo e la mobilitazione reazionaria”. Si fa poi appello “a tutti quelli che hanno un animo onesto e sono stanchi di repressione e soprusi da parte di una borghesia fascista che si nasconde dietro una parvenza di perbenismo e si sente talmente forte che non pensa di avere nemmeno più bisogno di rispettare la Costituzione Italiana”.
E’ chiaro che in questo contesto il termine “antifascismo” assume il significato semantico che gli attribuivano coloro che, come Feltrinelli , il colonnello Lazagna e altri, parlavano di “Resistenza tradita” e di necessità di riprendere le armi per concluderla con il socialismo realizzato
Secondo questa logica quindi la difesa della Costituzione prevede anche l’esercizio della violenza privata, dal momento che la violenza dello Stato non è più legittima in quanto che lo Stato stesso ha perso la sua legittimità essendo fascista per cui è prevista la doverosità della lotta armata.
Se il pericolo è grande la prudenza dovrebbe essere maggiore. Ma non sembra che questa sia la strada scelta dalla nostri sinistra.


Guido Guastalla

Ps: vi aggiungo i link per la visione di due video su youtube.
Il primo intitolato l`antifascismo non si processa mostra parte della manifestazione tenutasi a Livorno a tutela dei "compagni" e chiaramente dichiara come lo scopo di tale manifestazione sia fare pressione sul sindaco della citta` per ottenerne l`appoggio.
Il video esprime la concezione di superiorita` antropologica nei confronti di coloro che non sono veri compagni ed evidenzia la presenza di una rete radicata in tutte le citta` toscane,da Massa Carrara, a Livorno a Pistoia
Sono interessanti anche i commenti al video alcuni dei quali d`odio e disprezzo nei confronti di Pansa, altri invocanti l`immunita` per gli "antifascisti" vittime della repressione borghese e fascista.Le solite parole usate negli anni '70

Alessandro Bertonelli

giovedì 5 novembre 2009

Chi ha vinto nella battaglia per il crocefisso?



Finalmente, almeno per “L’unione atei e agnostici razionalisti” a cui Massimo Albertin è iscritto sino dalla sua fondazione, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, accogliendo il ricorso presentato da sua moglie, la finlandese Soile Lauti, ha sentenziato che il crocefisso non deve essere esposto nelle aule della scuola pubblica.
A parte che la suddetta signora dovrebbe immediatamente far ricorso per chiedere la sostituzione della bandiera nazionale finlandese (oltre ché svedese, danese, norvegese e svizzera e inglese dove la croce, tradizionale o di S.Andrea compare), e forse di quella europea dove la stella potrebbe richiamare quella cometa dei re magi, mi chiedo: chi ha vinto e chi a perso con questa sentenza?
Piergiorgio Odifreddi, il superfalco del laicismo estremo, i cui libri assieme all’opera omnia di C.Darwin, C.Hitchens e altri campioni del laicismo antireligioso e giacobino, fanno bella mostra nella biblioteca e sui tavoli di casa Albertin, autore di un libro in cui sostiene che il termine cristiano deriva dal francese crétin, cioè cretino, idiota, e la Torah ebraica è una serie ininterrotta di stupidaggini, dimostrata dalle poche paginette che Le dedica, esprime la sua grande gioia all’insegna di “Libera Chiesa in libero Stato”. In una intervista aggiunge: “Faccio presente che i cattolici in Italia sono il 30%. Quindi non sono la maggioranza. Infatti si sa che solo il 30% va a messa”, dimenticando che il 98% degli sstudenbti si avvale dell’insegnamento della religione cattolica Non contento vorrebbe togliere la concessione dell’8 per mille, che, va notato, è volontaria, e obbligare i credenti “a pregare in casa e non imitare i Farisei che pregavano in piazza. Quindi il culto va onorato in sedi private e in luoghi appositi”. A parte l’inesattezza del riferimento – come non ricordare che tutta la predicazione di Gesù si svolse in pubblico?- ci sembra che affermazioni del genere, dai giacobini francesi, passando ai rivoluzionari sovietici, fino a Chavez in Venezuela, siano state espresse da tutti i regimi più sanguinari e totalitari degli ultimi secoli, con effetti deevastanti.
Inoltre anche l’affermazione cavourriana “Libera Chiesa in libero Stato”, non stava assolutamente a significare la privatizzazione della religione, ma la sua distinzione dalla sfera statuale che promette e permette libertà, tolleranza e rispetto a tutte le fedi religiose compreso il diritto di non credere, che è sede della laicità dello stato di diritto, collocandola nella sfera della società civile, che non è propriamente la sfera del privato, ma una sfera pubblica di cittadini, associazioni, organizzazioni religiose di minoranza e di maggioranza: in mondo variegato e molteplice, ricco di fermenti e di valori, luogo di incontro e di scontro, di sovrapposizione di valori e di distinzione, che lo Stato deve incoraggiare, regolare, difendere da eccessi, ma mai reprimere e limitare, imponendo vincoli o sanzioni.
Come dice Giancarlo Bosetti nel suo recente Il fallimento dei laici furiosi non ci si può illudere che la scena contemporanea si possa ancora definire oggi, come il 20 settembre 1870, attraverso nuove collisioni tra religioso e non religioso. Allora se al momento avrebbero perso i cristiani, chi avrebbe vinto? Forse i cristiani non cattolici che, come i valdesi hanno subito plaudito alla sentenza? O gli atei, agnostici e razionalisti? O forse gli ebrei, per i quali la croce ha rappresentato per quasi due millenni un simbolo di persecuzione? O forse il terzo litigante del famoso proverbio e cioè i musulmani? Il cardinale Kasher molto saggiamente ha ricordato che se la croce è stata “spesso nella storia usata come un segno contro , non credo che oggi nessuno possa intenderla così. No, ciò che resta dopo aver tolto i simboli è il vuoto”.
Ostellino, uno dei pochi autentici liberali italiani aveva recentemente affermato che il relativismo è in favore del pluralismo dei valori mentre il nichilismo è per la sua distruzione.
L’aver diluito nella Costituzione europea il riferimento alle radici giudaiche e cristiani che, insieme a quelle greche e romane, rinascimentali e illuministiche sono le fondamenta valoriali a cui è pervenuta la nostra civiltà, attraverso terribili errori e orrori, in tremila cinquecento anni di storia, ha comportato un azzeramento del nostro passato e delle nostre tradizioni che sono particolari e universali insieme. Mettere sullo stesso piano il rispetto per la vita umana e il suo disprezzo, l’uguaglianza di uomo e donna e il suo contrario, la libertà dell’individuo in quanto persona e il comunitarismo dell’Umma islamica non è un buon servizio per il futuro delle nuove generazioni.
Non vorrei che queste discussioni da basso Impero o da fine dell’Impero d’Oriente con la famosa discussione sul sesso degli angeli, vedesse in Europa, divenuta Eurabia, un vero vincitore esterno.
Mi viene in mente una bella frase di Mons. Negri, vescovo di S.Marino e Montefeltro :”Mi auguro che laici non laicisti e credenti non clericali, possano dialogare fra di loro”.

Guido Guastalla presidente di Societa` Aperta

Ps: l’ebraismo in Occidente ha sempre rispettato, così come in Oriente, i valori religiosi e morali della maggioranza, così come i poteri dello Stato, chiedendo soltanto libertà ee rispetto per i propri. Non si è mai sognato di voler cancellare l’identità delle nazioni o peggio ancora cercare di sostituirla con la propria; cos’ come in Israele chiede di poter affermare l’identità ebraica del paese, nel rispetto naturalmente di tutte le minoranze.

mercoledì 4 novembre 2009

Intervista a Giulio Meotti riguardo al suo nuovo libro: Non smetteremo di danzare



Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. Ha scritto per il «Wall Street Journal». Con Lindau ha pubblicato “Il processo della scimmia. La guerra dell’evoluzione e le profezie di un vecchio biochimico” (2006). “Non smetteremo di danzare” è in corso di traduzione negli Stati Uniti, per la Encounter Books di New York.

INTERVISTA A GIULIO MEOTTI

“Non smetteremo di danzare”, un libro scritto per raccontare i martiri di Israele, per non dimenticare i loro nomi. Sono storie che parlano di coraggio, di disperazione ma anche della voglia di continuare a vivere. Nei quattro anni occorsi per scrivere questo libro hai incontrato e parlato con moltissime persone. Quali sono i loro sentimenti di fronte a queste tragedie: rassegnazione, rabbia, ostilità, voglia di vendetta?
MEOTTI: «Nessun israeliano che ha perso i propri cari in un attentato terroristico ha mai cercato o chiesto la vendetta. Alcuni hanno risposto al terrore creando fondazioni benefiche in nome dei cari uccisi e oggi assistono bambini palestinesi. Una ragazza che ha perso il padre, la madre e il fratello in qualità di ostetrica fa nascere i bambini arabi in ospedale. Nell’accostarsi al mondo dei sopravvissuti al terrorismo ti colpisce il fatalismo ottimista, la fede ancora più forte in Israele e soprattutto l’amore per la vita. Non come banale gioia di vivere, ma come santificazione, laica o religiosa che sia, della vita umana in quanto tale. I mariti che hanno perso la moglie in un attentato si sono risposati e hanno creato una famiglia più grande di prima. Nella città di Sderot, sotto i missili di Hamas, gli israeliani si sono sposati nei bunker e i bambini hanno giocato nelle abitazioni sotterranee. Nessun autista di pullman si è licenziato, anche se ogni volta guidare era come una roulette russa. La distruzione arrecata dal terrorismo al cuore di Israele è stata grande, come un “mini Olocausto” ha detto un padre. Ma Israele, la sua società, la sua cultura, ne sono usciti vincitori. Israele ha dimostrato di amare la vita più di quanto non tema la morte. Ecco cosa ci insegna la democrazia israeliana, in guerra da sessant’anni ma senza odiare il proprio nemico. E’ questo il significato più bello trasmesso dai racconti di come erano, in vita, i morti d’Israele.»

Nel libro non vi è alcun pregiudizio contro i palestinesi, ma ti verrà rimproverato di ignorare le morti palestinesi provocate dall’esercito israeliano. È una guerra dei numeri che pesa sulla democrazia israeliana?
MEOTTI: «La conta delle vittime non ha mai spiegato nulla del conflitto. Ovviamente c’è una differenza fondamentale fra i civili israeliani ammazzati nelle proprie case, ristoranti, hotel e sinagoghe, e le vittime palestinesi che hanno tragicamente perso la vita in azioni militari volte a salvaguardare l’esistenza d’Israele e a fermare la mano dei terroristi. Israele fa di tutto per non arrecare danno ai civili. Questo libro-inchiesta non fa la conta dei morti, racconta una grande storia contemporanea, il martirio ebraico nel XXI secolo, è la storia orale del conflitto mediorientale dal punto di vista della vittima che viene sempre bandita dai media, dalla cultura, dalla politica benpensante: gli ebrei. Uccisi perché ebrei in dieci anni di campagne fondamentaliste e genocide. Quasi sempre di loro non si viene a conoscere neppure il nome il giorno dopo la strage. Ho scelto di raccontare alcune delle più incredibili storie delle vittime israeliane del terrorismo perché ci parlano di questo minuscolo paese che non conosciamo veramente. E’ il “Ground Zero d’Israele”: 1.700 vittime civili e oltre diecimila feriti. Israele è un paese molto piccolo e se paragoniamo questa cifra alla popolazione degli Stati Uniti sono 70.000 vittime. In questi frammenti umani si trova a mio avviso uno dei perché d’Israele. Forse la sua ragion d’essere più importante. Questi “sommersi”, per usare un’espressione di Primo Levi, sono il pegno dell’esistenza dello stato ebraico soprattutto nell’epoca del negazionismo dell’Olocausto e della bomba atomica iraniana.»

C’è un filo continuo che corre lungo i racconti del libro e che collega le vittime dell’Olocausto di ieri con quelle degli attentati kamikaze di oggi. Una sopravvissuta all’Olocausto che deve identificare i suoi parenti vittime di un atroce attentato si chiede: “è davvero finito l’Olocausto?”. Come risponderesti a questa domanda?
MEOTTI: «Il simbolo del libro potrebbe essere un uomo che ha perso gran parte della famiglia in un ristorante a Gerusalemme e che ricorda il padre mentre fa il segno di vittoria davanti ai cancelli di Auschwitz, dove i nazisti sterminarono la sua famiglia. Le vittime del terrorismo ci rendono chiaro così che l’Olocausto è come una coda di buio che attraversa le generazioni, è il più grande tabù del mondo arabo-islamico, e uccidere un sopravvissuto ai lager è un omicidio perfetto. Con lui, si spazza via anche la memoria. La ricostruzione dopo gli attentati contiene il mistero d’Israele. Ci sono familiari che hanno dovuto riconoscere i propri cari dall’analisi del Dna, da una collanina, da qualcosa che apparteneva alla vittima. Il terrorismo ha cancellato letteralmente l’esistenza di migliaia di persone. Per questo ho scelto di raccontare e intervistare gli eroi di “Zaka”, l’organizzazione religiosa che si occupa di dare degna sepoltura ai piccolissimi lembi di carne e sangue delle vittime. Con la loro opera fermano l’annientamento provocato dal terrorismo. Non è possibile costruire la pace in Medio Oriente sull’oblio delle vittime di questa spaventosa ondata di antisemitismo. Per questo, forse, leggere il racconto di questi destini spezzati è già un atto di resistenza alla barbarie.


Giulio Meotti, “Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d'Israele”, prefazione inedita di Roger Scruton, con una lettera all'Autore di Robert Redeker, Edizioni Lindau, Torino, 2009, pagg. 360.

Tratto dal sito Israele.net

martedì 27 ottobre 2009

Dove va il Pdl a Livorno?



La rissa, da angiporti medioevali, fra Russo e Zingoni, ospitata sul quotidiano Corriere di Livorno nei giorni scorsi, non può che suscitare sconcerto e e disgusto nei dirigenti, militanti e semplici elettori del centro-destra.
A distanza di pochi mesi da elezioni amministrative disastrose per il nostro territorio, rispetto ad esempi anche vicini, come Cecina, Volterra, Pomarance etc, la cui responsabilità non può che ricadere sui gruppi dirigenti responsabili delle candidature, dei programmi, della campagna elettorale, abbiamo visto di tutto di più. Litigi furibondi sui giornali, divisione dei gruppi consiliari in due prima, e tre spezzoni poi, ostilità e incomunicabilità fra le persone, assenza di una azione politica sul territorio, mancanza di iniziative e di proposte in presenza di una crisi economico-finanziaria devastante, specie nella nostra città.
Tempo fa Fabrizio Cicchitto, interrogato a proposito della forbice fra risultato politico e amministrativo rispose che: “siamo un gruppo selvaggio che ha tirato ma che ora va organizzato sul territorio” e continuando: “Sa che cosa le dico? Troppa gente non fa politica sul territorio”. A Livorno – aggiungo io – molta gente non fa politica tout court.
La discussione fra i due personaggi rivendica la presenza dei Circoli e dei Club della Libertà. Ma chi se ne è accorto della loro presenza? Della Brambilla i primi, di Valducci i secondi, in realtà non esistono che nella testa di chi li ha pensati come strutture, finte e virtuali, di potere, per spartirsi i posti negli organigrammi: è una discussione surreale di tipo onirico. Ma quali attività avete fatto? Quali incontri? Quali gruppi di studio? Quali gruppi dirigenti? Dove sono i vostri iscritti?
Nessuno è in grado, ovviamente di rispondere a questi semplici quesiti per il semplice fatto che è tutto solo e soltanto sulla carta.
Il partito in realtà non esiste; lo scontento nell’elettorato, nella cosiddetta base, è massimo. Ma lor signori che fanno? Continuano ad azzuffarsi all’arma bianca nella prospettiva di spartirsi qualche posticino, magari di consigliere regionale.
Scriveva recentemente Alberoni in un articolo intitolato “Quando cadono gli ideali restano solo avidità e bugie”: “ Cosa accade…quando l’essere umano non sente l’aspirazione a superare il suo egoismo, a migliorare moralmente, a creare una comunità in cui vengono premiati il merito e la virtù?” Persi gli ideali, a cosa si rivolge la spinta umana che tende verso l’alto? Solo al potere e al denaro. Il potere diventa un fine in sé…. Tutti i mezzi diventano leciti per scalare l’unico cielo che è rimasto: accordi trasversali, ricatti, società segrete”. Se, come continua : “La grande chiassosa battaglia della politica italiana nasconde gente che accumula enormi poteri ed enormi ricchezze”, la piccola battaglia locale, aggiungo io, nasconde misera gente che accumula piccoli poteri e modeste ricchezze.
Viviamo un momento di cinismo, egoismi, grandi e piccole astuzie e viltà, che degradano la lotta politica per volgari e inconfessabili interessi: restano solo grandi e piccoli poteri contrapposti e la menzogna.
Nonostante tutto c’è sempre però gente coraggiosa che continua ad agire con correttezza e rigore, che ha fantasia, fede e vuol indicare una strade migliore ai giovani.
Il passato ci insegna che alla fine i malvagi, coloro che perseguono unicamente il loro tornaconto personale si autodistruggono, anche perché oltre un certo grado di abiezione, la gente si ribella e cerca altre persone per cominciare di nuovo a sperare e a costruire il proprio futuro.
A questa gente vogliamo dire semplicemente: per favore fatevi da parte,e liberateci da questi miasmi insopportabili.

Guido Guastalla
Presidente Società aperta- Fondazione Magna Carta

giovedì 15 ottobre 2009

L`Italia e lo scudo fiscale



Lo “scudo fiscale” ha inevitabilmente ridato nuova linfa all’eterna e complessa discussione sul confine tra etica e politica.
Tuttavia io voglio analizzare quelli che sono gli aspetti pratici della questione e provo a dire la mia sulle reazioni del mondo politico di fronte all’adozione di questo provvedimento da parte del governo Berlusconi.
La maggioranza ha presentato lo “scudo” come la classica medicina dal sapore terribile, ma dagli indiscussi effetti benefici.
Evidentemente le finanze pubbliche non se la passano bene.
E allora si è puntato su questa misura estrema per far rientrare nel nostro paese le ingenti somme di denaro “emigrate” nei “paradisi fiscali”.
Ma come ha reagito l’opposizione?
Non so perché, ma secondo me i principali antagonisti del Cavaliere, al di là degli inevitabili atteggiamenti di facciata, non sono stati per niente convincenti.
Il PD non si è sporcato le mani più di tanto.
Ma magari il principale partito d’opposizione spera che siano direttamente le piazze a dare un segnale forte alla maggioranza.
Casini, come al solito, ha detto il meno possibile.
Un atteggiamento più ostile ha provato a tenerlo l’IDV.
Ma Di Pietro, anche su questa questione, ha dimostrato di avere poche idee e confuse.
Ricordo che il leader dell’IDV, nella puntata del 22 settembre di “Annozero”, disse che il suo partito è per il sequestro totale dei capitali illegittimamente esportati all’estero.
Speriamo che Di Pietro abbia voluto fare demagogia perché se davvero non ha capito che lo “scudo fiscale” è stato adottato proprio perché è impossibile fare quello che dice lui, significa che non ci siamo proprio.
Nei giorni successivi alla magra apparizione televisiva Di Pietro si è limitato ad offendere i suoi avversari e non ha dato ulteriori prove della sua ferrata conoscenza della materia trattata.
Anche quelli del “Fatto quotidiano”, cioè coloro che si vorrebbero imporre all’attenzione di tutti come i più acerrimi nemici del tiranno, non sono stati particolarmente propositivi.
In particolare Travaglio e i suoi uomini non hanno saputo fare di meglio che confinare lo “scudo fiscale” nello stucchevole e lagnoso calderone del loro odio viscerale per il premier.
Non so se questo sia dovuto ad una precisa scelta editoriale, ma questo è quanto.
Persino Furio Colombo, una delle migliori e più agguerrite penne del giovane quotidiano, non ha saputo infiammare gli animi dei suoi lettori.
Ma il suo, per molti versi, è un silenzio giustificato.
Infatti tra i capitali finiti nei “paradisi fiscali” c’è anche quella consistente somma di denaro misteriosamente sparita dal patrimonio della Famiglia Agnelli.
E dunque l’ex presidente della Fiat America ha fatto bene tenere una linea di basso profilo relativamente a una questione che avrebbe potuto creargli qualche grattacapo.


Francesco

L`etica aiuta l`economia


Il Corriere della Sera, questa mattina, ha dato notizia dell`attuazione della fase operativa del cosiddetto scudo fiscale, con l`inizio dei controlli su 50 mila italiani ex residenti all`estero.
Contemporaneamente, la Banca d`Italia ha riacceso le polemiche sostenendo che l`adozione di questo condono fiscale invogliera`, in futuro, altre persone ad evadere con la convinzione che prima o poi un condono ci sara`.
Al contrario di Banca Italia, ritengo che il governo, considerando la situazione economica nazionale ed internazionale, abbia compiuto la scelta giusta.
La fuga dei capitali all`estero si e` sempre verificata in tutti i paesi del mondo ma ora, per la prima volta da tanti anni, si e` venuta a creare una situazione favorevole per il recupero di parte di quei soldi.
Infatti, sull`onda del crollo finanziario globale, le potenze internazionali hanno quasi obbligato i "paradisi fiscali" a rinunciare almeno in parte al segreto bancario, rendendo cosi` rintracciabili gli evasori.
Questo ha spinto un po` tutte le nazioni,America in testa, a cercare di recuperare i capitali trafugati all`estero.
Pensare, pero`, di recuperare le ingenti cifre solamente con sanzioni piu` o meno pesanti e` utopico.
Se chi ha capitali all`estero non ha incentivi a riportarli in Italia, adesso, molto probabilmente preferisce cercare di nasconderli ancora meglio e sperare che tra un anno o due, magari con il cambio di governo o della situazione internazionale, la caccia ai capitali non sia piu` una priorita`.
Allo stesso tempo,pero,`il condono e` una sorta di male necessario, un compromesso pratico moralmente non condivisibile che deve rimanere un`eccezione.
Infatti, la crisi economica a cui si e` arrivati e` in larga parte frutto proprio dell`assoluta mancanza di rispetto della morale nell`economia.
Per lunghi anni le virtu`, i valori morali erano stati considerati, generalmente, dei vincoli fastidiosi da aggirare per perseguire gli obbiettivi economici.
Negli anni precedenti la crisi si e` arrivati al punto che l`economia e la morale sono state considerate "piani paralleli", come se la sfera economica e quella morale non riguardassero entrambe l`uomo.
A tal proposito, voglio ricordare la poszione di Irving Kristol. Il neoconservatore americano, ha sempre evidenziato come non sia in discussione la superiorita` del modello capitalistico su quello socialista/ comunista.
D`altra parte il capitalismo si basa, su liberta`e responsabilita` individuale, talento personale, merito. Il comunismo si basa sulla negazione della specificita` di ciascun individuo, sul suo annullamento nella massa, sull` imposizione agli individui di concezioni di benessere, interesse, bisogni indipendentemente dalla loro volonta`.
Questo non vuol dire, pero`, che il capitalismo sia perfetto.
Infatti e` vero che il sistema capitalistico ha permesso, a quasi tutti di godere di una qualita` materiale della vita prima impensabile, soprattutto per le classi povere. Ha inoltre favorito l`ascesa sociale, ed ha favorito l`affermarsi del concetto di meritocrazia.
Infine ha favorito,in un rapporto di reciproca influenza, l`affermarsi della democrazia e delle liberta` personali.
Pero`, come giustamente ricordava Kristol, tale sistema non e` in grado di evitare le degenerazioni, quale il capitalismo baronale di fine ottocento o la bolla finanziaria dell`ultimo anno.
Alcuni ritengono che sia sufficente uno stato forte, attore economico che allo stesso tempo regoli l`economia e sanzioni pesantemente chi viola le norme, per evitare tali degenerazioni.
In realta`, se e` vero che regole e sanzioni sono assolutamente necessarie, un` eccessiva presenza statale nell`economia e una "burocratizzazione" di questa non fa altro che aumentare inevitabilemente il ricorso alla corruzione e alla politica dei favori.
L`unico vero rimedio concerne l`unico attore della sfera politico economica: l`uomo.
Per il buon funzionamento del "contratto sociale" che lega gli uni agli altri nella societa` l`individuo deve essere responsabile. Questo significa che non puo` permettersi di non riconoscere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, i mezzi dai fini.
All`interno della societa`, l`individuo e` riconosciuto ed accettato come un unicum, un essere umano con un`anima e una coscienza. E` libero di scoprire il proprio potenziale e perseguire il suo legittimi interessi ma, nel fare cio` deve rispettare gli altri (come persone prima di tutto) i loro bisogni, i loro diritti.
Egli e` responsabile del suo benessere e di quello della sua famiglia ma, nel contempo, ha il dovere come membro di tale comunita` di contribuire al benessere di essa attraverso buone opere.
Questi principi devono essere applicati anche all`economia, che non puo` essere un `isola amorale ed avaloriale, perche` cio` comporta pesanti ripercussioni su tutto il resto.
Allo stesso tempo credo che questi valori possano avere il suo fondamento, principalmente, nella tradizione giudaico cristiana, l`unica che considera la persona un unicum irripetibile ponendola al centro del mondo.
Alessandro Bertonelli


martedì 13 ottobre 2009

Lo scudo fiscale fra etica e politica


L’intervento di Massimo Paoli introduce nel dibattito sullo scudo fiscale elementi di equilibrato giudizio e si pone alcune domande sul rapporto fra etica e politica-economia.
I lati positivi sono evidenti: rientro di una eccezionale massa di capitali, entrate fiscali per svariati miliardi di euro, possibili investimenti e allocazione di questi capitali per far ripartire l’economia e quindi nuovi posti di lavoro, stipendi, fatturato per le aziende, e infine nuovo fiato alle strutture creditizie provate dalla crisi finanziaria mondiale.
Anche i lati negativi però sono altrettanto fondati e seri. Il condono è troppo a ridosso dell’altro e rischia di diminuire drasticamente il gettito tributario, inoltre crea la sensazione che a pagare siano solo gli onesti e cioè i “soliti fessi”, infine potrebbe riaccendere spirali inflazionistiche prima che sia ripristinata una corretta dinamica dei salari.
Ma, dice Paoli, i pro e i contro non si possono considerare del tutto in equilibrio. Se i primi sono in gran parte legati alla pratica, in senso economico e politico, i secondi si appoggiano e contengono elementi di natura etica, cioè quella sfera della pratica che si rivolge ai “fini” e non ai “mezzi”.
Paoli conosce troppo bene il dibattito interno all’etica moderna e lo sforzo per contemperare fini e mezzi e il loro rapporto reciproco. Se questo tema era indubbiamente presente anche nel mondo antico è almeno da Machiavelli, che fonda l’autonomia della politica, che diviene centrale nel pensiero filosofico. Fra etica delle intenzioni (per brevità l’imperativo categorico kantiano) e l’etica delle conseguenze (ad esempio quella weberiana) ci può e deve essere un rapporto, e se si quale? E inoltre, mentre la prima prevale come presupposto del comportamento personale, lo è altrettanto in quello della società? Infine, valori etici come “giustizia fiscale, senso della cittadinanza e dello stato, senso della democrazia reale” appartengono alla prima, o non piuttosto alla seconda e alla sua progressiva modulazione storica?
Le domande sono molte e tutte molto complesse e di non facili da affrontare in poche righe.
Una osservazione comunque: sembra possibile ottenere lo stesso risultato concreto che si propone lo scudo, senza passare attraverso lo scudo? E se non è possibile, allora l’osservazione che il prelievo del 5% è troppo favorevole, non ci riporta all’interno di un’etica utilitaristica, e cioè del mezzo migliore per ottenere un risultato ritenuto comunque positivo?
In un mio precedente articolo pubblicato su Il Tirreno “Etica e fede sono la risposta” avevo cercato, citando pensatori come Giddens e Dahrendorf, economisti e politici come Salvati e Ranieri, Tremonti e Blair, il papa Benedetto XVI nella sua enciclica “Caritas in veritate”, di riportare il discorso fra sviluppo economico e coesione sociale e etica ad una possibile convergenza, a quel “cerchio incantato” come possibile punto di incontro fra prospettive divergenti o contrapposte.
Che questo tema sia centrale nel dibattito contemporaneo ce lo dice anche Benedetto XVI quando afferma che “..il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società”. (Caritas in Veritate, 51).
L’etica religiosa in questo momento è avvantaggiata, anche sui temi concreti dell’economia e della politica, rispetto a quella laica, per un sistema etico di riferimento che fa discendere l’inviolabile dignità morale della persona umana dal trascendente valore delle norme morali naturali.
L’etica laica si trova invece in difficoltà di fronte ai cambiamenti epocali a cui assistiamo ma non è detto che non possa reagire positivamente.
Credo e mi auguro che dal dibattito, dall’incontro di queste due concezioni, nella loro variegata presenza, possa venire qualcosa di buono, sicuramente di migliore rispetto a certe discussioni di questi ultimi mesi e giorni.
A Massimo Paoli il merito di aver ripreso questi temi, e la richiesta di un impegno a discuterne pubblicamente quanto prima.

Guido Guastalla
Presidente Società aperta - Fondazione Magna Carta